21.12.09

Shab-e Yalda: la notte più lunga dell'anno


 L’oscurità ha invaso il cielo.
C’è una stella in cielo che porta luce e un barlume di speranza.
Il 21 dicembre, il Solstizio d’inverno durante il quale si ha la notte più lunga dell’anno, combacia con il primo giorno del mese “Dey”, il decimo mese del calendario persiano e con l’inizio dell’inverno.

La parola Yalda nella lingua Assiro-Babilonesi significa “natività”, era una festa che veniva celebrata sia dalla religione Zoroastrina che da quelle Ebraica e Cristiana.

Nel credo dei Persiani durante la veglia notturna si tengono accese delle lanterne, per aiutare simbolicamente la vittoria della luce sulle tenebre. Il giorno e la notte e il bene e il male, chiamati dagli Zoroastriani Ahuramazda e Ahriman simbolo della lotta perenne contro le ingiustizie degli uomini sono un’eredità di questo passato.

I Persiani, prima ancora della diffusione della religione Zoroastriana, credevano nell’esistenza del Dio Sole la cui religione, il Mitraismo, narra che fu proprio nella notte più lunga dell’anno che nacque Mitra o Mehr: il Dio del Sole invincibile, giusto e illuminato, protettore di luce e amicizia. Il Mitraismo era al tempo culto diffuso tra i popoli della terra; per questo possiamo cogliere i segni lasciati in eredità da questa religione anche ai giorni nostri.

Ne sono esempi eclatanti la scelta del 21 dicembre per la festa di Shab-e Yalda per i Persiani, o quella del 25 dicembre (anticamente ultimo giorno di festa per la nascita di Mitra) come data della nascita di Gesù per i Cristiani. E infatti dal quarto secolo che il 25 dicembre viene festeggiato il Natale da parte dei Cristiani, eccezione fatta per gli Armeni che festeggiano il 6 gennaio.

La Notte più lunga dell'anno(solstizio)


Il 13 dicembre è la notte più lunga dell’anno. Questa affermazione, anche se scientificamente non precisa ha reso la notte di S. Lucia una delle notti più affascinanti.

L’origine di quanto sopra è da ricollegare a parecchi anni fa.

Fin dall'antichità il cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, riprendendo la sua corsa sull'orizzonte, è stato salutato come l'inizio di un nuovo periodo di vita. Questo giorno, detto solstizio estivo, è ancora oggi ricordato e atteso, in quanto primo giorno d'estate.

Il sole, per l'uomo principale fonte di vita, muta il suo cammino sull'orizzonte e sembra fermarsi ("sosta" di qui "solstizio") per alcuni giorni in un punto preciso, sorgendo e tramontando sempre nella stessa posizione, finché, il 24 giugno (e il 25 dicembre) ricomincia a sorgere, giorno dopo giorno sempre più a sud sull'orizzonte (a giugno, e sempre più a nord a dicembre), determinando in maniera graduale l'allungarsi o l'accorciarsi delle giornate.

Fin dall'antichità gli uomini si erano resi conto di questi cambiamenti e avevano celebrato l'evento con diversi festeggiamenti. Gli antichi greci chiamavano il solstizio estivo "Porta degli uomini", poiché, nella loro mitologia, era il momento in cui le anime uscivano dalla caverna cosmica.

I solstizi erano anche festeggiati dalle grandi civiltà dell'America precolombiana, in Perù per esempio, il dio sole, Inti, che era anche l'Imperatore, riceveva grandi sacrifici di animali ed offerte naturali, in modo propiziatorio perché i raccolti estivi fossero abbondanti.

La religione Cristiana, conscia della portata di questi festeggiamenti, si preoccupò fin dai suoi inizi di acquisire le date dei festeggiamenti, sovrapponendoli con solenni celebrazioni. Per dare un'idea dell'importanza di queste feste basta considerare che il solstizio invernale è stato sostituito dal Natale! E che, secondo la tradizione sapienziale, Giovanni Battista sarebbe nato il 24 giugno, esattamente sei mesi prima di Cristo.

La notte più lunga dell'anno nel mondo

Nell’antico calendario riformato Da Giulio Cesare nel 46 a.C., e poi adottato dalla cristianità, il solstizio d’inverno coincideva con la data del 13 dicembre dal quale è giunto fino a noi l'antico detto "S. Lucia è il giorno più breve che ci sia", vale a dire che, in corrispondenza di questa festività, il 13 dicembre, avremmo la notte più lunga dell'anno. Ma in realtà le cose non stanno esattamente in questo modo e il giorno più breve (o la notte più lunga) coincide invece col solstizio d'inverno, che cade tra il 21 e il 22 dicembre in seguito al nuovo calendario modificato da Papa Gregorio XIII, che, nel 1582, intervenne togliendo dieci giorni (cioè proprio la sfasatura tra S. Lucia e il solstizio) facendo così in modo che l'inizio dell'inverno cadesse nuovamente intorno al 21/22 dicembre.

L'antico detto riferito al giorno di S. Lucia fu, evidentemente, concepito prima del 1582 e, col suo persistere, ci fornisce con evidenza e immediatezza la prova della tenacità degli usi e delle credenze popolari.

La Notte di S. Lucia a Belpasso

Al fascino della notte più lunga non poteva che aggiungersi il nome di colei il cui nome evoca luce. A motivo della presenza del buio per così lungo tempo, specialmente nei paesi nordici si perpetua da tantissimi anni la tradizione che vuole S. Lucia, la vergine siracusana, rappresentata da una fanciulla del luogo che indossa un abito bianco ed una corona di candele illuminate, girare per le case, apportando assieme alla luce anche i doni per i più piccini.

Quella di Belpasso, però è sicuramente una delle tradizioni più particolari ed uniche nel suo genere: conclusasi la serata dei “cantanti”, che ha caratterizzato la vigilia della festa di S. Lucia, mentre i carristi attraversano le fredde strade del paese, intenti a posare il loro carro nel luogo dove l’hanno costruito, sul “campanaro” (campanile) i matricioti iniziano a suonare il “campanone” che con il suo “assolo” accompagnerà la notte tra il 12 ed il 13 dicembre.

E’ una tradizione che si perde nei tempi: quando tanti anni fa non esistevano né strade, né segnaletiche e non c’era illuminazione nel sentiero che portava a Belpasso dai centri vicini, per i pellegrini che si apprestavano a giungere a piedi era veramente arduo affrontare la notte fredda di dicembre.

Forse per rispettare quanto vi è inciso sul lato a ponente (DEUM LADO FIDELIS VOCO DEMONES EX PELLO FAIMILIARUMO CONTRIBUENTIUM TANTO MMODO MORTEM. PLORO - Lodo Dio, chiamo i fedeli, scaccio i demoni, prego per i fedeli che hanno contribuito per la mia costruzione), era proprio il caldo suono del “campanone” a guidare i pellegrini dei paesi vicini, seguito dallo sparo di “colpi a cannone” provenienti da un quartiere periferico detto “Ascino” a motivo di una tipica pianta predominante in quella zona.

Ancora oggi questa tradizione è viva più che mai: All’ascino, al quale si sono aggiunti successivamente altri quartieri, la “Silva” ed il “Gattaino”, si riunisce il ceppo storico del quartiere “S. Antonio”. Attualmente nei locali del Sig. Sava detto “Piccicheddu”, una trentina di persone si alternano nel preparare tutto l’occorrente per poter trascorrere la notte: dalla griglia, al pane, alla salsiccia, alle olive “cunsate”. Hanno per tempo contattato il “bummaro” che, al rintocco del “campanone” sparerà due o tre “colpi a cannone”.

All’ ”Ascino”, come alla “Silva” ed al “Gattaino”, la notte di S. Lucia assume un fascino tutto particolare ma specialmente i più devoti trascorrono dei momenti indescrivibili: il calore e lo scintillio del fuoco riportano alla mente antichi ricordi, per un momento la mente si isola dal quotidiano e ci conduce al nostro passato e ci proietta al nostro futuro, per un momento ci ritorna in mente il dramma dei nostri “padri”, di coloro che ci hanno preceduto anche in questi momenti ma con l’animo pieno di gioia si attende con ansia il giorno che sta per arrivare. Si infatti domani è S. Lucia!

Anche sul campanile, l’atmosfera è simile, i matricioti sono anch’essi riuniti attorno ad un fuocherello, dove ognuno osserva e si prende cura del suo nodo di salsiccia posto sulla griglia. Ogni tanto viene la voglia di intonare un canto in onore a S. Lucia.

Mentre il devoto di turno, con una mano nella tasca per proteggerla dal freddo e l’altra nella corda legata al “battagghiu” (batacchio), si appresta ad effettuare il rintocco, gli altri gli stanno attorno osservandone il movimento: un tocco a destra, uno a sinistra ed uno a vuoto è il giusto tempo del caratteristico rintocco detto “’u chiamu”.

Sul campanile, essendo aperto da tutti i lati, a quella altezza, il freddo si fa sentire ancora più pungente e si capisce da dove soffia il vento. Questo è un elemento importante per intuire il tempo che farà domani: con gli occhi rivolti, spesso, al cielo si capisce che il vento soffia da ponente o da tramontana, quindi c’è speranza che la giornata del 13 sia buona. Un anno il vento soffiava invece da levante il che non faceva supporre niente di buono, quando soffia il vento di levante, se dovesse iniziare a piovere è difficile che smette entro breve tempo, pertanto, la lungimiranza, nonché la superstizione di qualcuno ci portò ad accompagnare l’”assolo” del campanone con il rintocco della “Campana da ‘Mmaculata”, posta proprio sul lato di levante. In questa campana infatti vi è incisa una scritta che dice, fra l’altro: ……… TEMPESTAS REPELLO ET ……... (…….., placo le tempeste, ecc …….) . In quell’anno comunque, campana o non campana, il vento di levante si placò per dare spazio a quello di tramontana.

La notte è trascorsa e le prime luci dell’alba rischiarano i tetti delle case di Belpasso, da sopra il campanile si può scorgere l’ingresso del paese da dove si intravedono i primi pellegrini che a piedi accedono dai paesi vicini.

E’ il giorno della grande festa di S. Lucia a Belpasso!

la notte più lunga dell'anno

Shab-e Yalda

La vigilia della nascita di Mithra, il Dio del Sole Shab-e Yalda o Shab-e Celleh (la notte di Yalda o di Celleh) quest’anno si celebra il 20 dicembre. E’ la notte del solstizio d’inverno, quella più lunga di tutto l’anno, e ha un significato simbolico molto importante nel calendario iranico.

La mitologia vuole che corrisponda alla vigilia della nascita di Mithra, il Dio del Sole, colui che rappresenta la luce, la bontà e la forza della terra, e il suo trionfo sul potere dell’oscurità. Quindi Shab-e Yalda o Celleh è sinonimo dell’inizio di un nuovo periodo di gioia e di luminosità, un punto di svolta a partire dal quale i giorni incominciano ad allungarsi e a sopraffare la buia notte.

Il culto del Dio Sole fu introdotto nell’antica Persia migliaia di anni fa attraverso le migrazioni degli Ariani che si insediarono in quelle terre e Mithra continuò ad essere un potente simbolo religioso anche nei secoli a venire, sopravvivendo alle altre religioni, la mazdaica prima e l’islamica poi.

Durante il periodo del primo grande impero persiano, quello Achemenide, Mithra divenne la divinità principale insieme ad Ahura Mazda (il Dio della bontà) e ad Anahita (la Dea delle acque e della fertilità). Nell’era seguente, quella dell’impero Sassanide, quando lo zoroastrismo mazdaico divenne la religione ufficiale della Persia, la sua importanza rimase immutata, come documentato dai diversi bassorilievi presenti nelle vicinanze di Persepolis.

La leggenda vuole che Mithra nasca dalla luce proveniente dalle montagne che si trovano a nord dell’Iran, la catena di Alborz, di cui Damavand (5671 m.) è la vetta più alta, e che gli antichi iraniani si riunissero nelle caverne di questa montagna per tutta la lunga notte a celebrare insieme il miracolo della luce.

Nella poesia persiana, Shab-e Yalda o Celleh ricopre una ben specifica simbologia, interpretabile come la separazione dall’amato e la solitudine. Superata questa lunga notte, si realizza la metamorfosi, poiché l’attesa è terminata e la luce riprende a splendere, facendo prevalere il bene sul male.

Nell’Iran contemporaneo, nonostante l’avvento dell’Islam monoteista, Shab-e Yalda o Celleh è ancora ampiamente festeggiata in tutte le famiglie. E’ il momento in cui i parenti e gli amici si riuniscono intorno alla persona più anziana della famiglia, la quale ha il compito di intrattenerli fino allo scoccare della mezzanotte narrando favole e leggendo antiche poesie, in special modo quelle del venerato poeta Hafez.

Nelle differenti regioni dell’Iran, questa notte è celebrata con rituali più o meno simili. Non mancano mai la frutta fresca, quella secca e tostata, e in particolar modo il melograno e l’anguria.
Quest’ultima, frutto tipicamente estivo, a fine stagione viene appesa in apposite reti nelle cantine delle case per tutto l’autunno in modo che mantenga la sua consistenza e possa essere consumata nella notte di Shab-e Yalda.

Il colore rosso del melograno e dell’anguria simboleggia la tinta cremisi dell’alba e lo splendore della vita nascente.


In morte dell’ayatollah Montazeri, il padre del movimento riformista iraniano

Morte al dittatore“, “Oggi è il giorno del lutto”, “Montazeri non è morto, lo è il governo”: sono questi gli slogan che si sono sentiti nelle prime ore della mattinata in occasione dei funerali del grande ayatollah Montazerisepolto nel mausoleo di Masumeh Zahra (la sorella dell’ottavo Imam dello sciismo duodecimano il cui mausoleo si trova a Mashhad) nella città santa di Qum.

Come previsto, l’occasione è diventata pretesto per contestare il governo e la macchina della repressione si è messa subito in moto: molti oppositori sono stati fermati mentre si recavano al funerale e le milizie di Ansar-e
Hezbollah
si sono infiltrate nella folla, tentando di interrompere la cerimonia e causando tafferugli.

Tra le persone arrestate ci sono Ahmad Qabel, un religioso allievo di Montazeri residente nella città santa di Mashhad, ma a finire in manette sono stati anche gli attivisti Mahnaz Mohammadi e Kuhiar Qabel, e il giornalista Ahmad Nurizad.

Il leader del movimento verde Mousavi si è recato ai funerali a cui dovrebbe aver partecipato anche Karrubi, l’altro leader dell’opposizione, mentre non è chiaro se ci sono andati Rafsanjani e l’ex presidente Khatami.

Terminate le esequie di Montazeri, l’opposizione avrà altre due occasioni per protestare: il 27 dicembre per le celebrazioni dell’Ashura con cui gli sciiti ricordano il massacro dell’Imam Hossein a Kerbela nel 680 d.C., e 40 giorni dopo la morte del grande ayatollah Montazeri, amato dagli iraniani perché marja-e taqliq (fonte di emulazione, massima carica dell’Islam sciita) e per il suo coraggio.

Montazeri ha passato buona parte della sua vita all’opposizione: nel 1963 prese posizione contro lo scià
Muhammad Reza Pahlavi e quando il suo maestro Khomeini fu costretto all’esilio ne fece le veci in patria
raccogliendo i fondi necessari per rovesciare la monarchia. Nel 1979, al momento della vittoria dei
rivoluzionari, divenne presidente dell’Assemblea degli Esperti che nel 1985 lo scelse come futura Guida.

Ma nel 1989, pochi mesi prima della morte dell’Ayatollah Khomeini avvenuta il 3 giugno, Montazeri fu messo a margine dal suo stesso maestro per una serie di motivi: era troppo vicino alla sinistra, aveva nemici potenti (Rafsanjani, oggi terza carica dello Stato, e Ali Khamenei, attualmente Leader supremo) e aveva osato criticare sia il prolungarsi della guerra contro l’Iraq sia le esecuzioni di massa degli oppositori.

L’Ayatollah Khomeini ordinò di togliere le immagini di Montazeri dalle pareti ma non poté cancellare la stima che gli iraniani provavano per quello che era stato il suo delfino. Per anni Montazeri rimase in disparte, nella sua casa nella città santa di Qum. Nel 1997 osò criticare il Leader supremo Ali Khamenei perché “non sufficientemente competente nelle questioni teologiche”. Dopotutto, Khamenei era stato promosso ayatollah senza aver terminato gli studi in seminario.

La reazione del Leader supremo fu durissima e Montazeri fu condannato agli arresti domiciliari.
Montazeri ha poi continuato a criticare Khamenei e il presidente Ahmadinejad e in occasione delle recenti
proteste di giugno li ha accusati di aver trasformato il velayat-e faqih(governo del clero) in velayat-e nezami (governo dei militari). In una fatwa (decreto religioso) sollecitata dal suo allievo Mohsen Kadivar, Montazeri ha invitato il clero a prendere posizione ricordando come “Dio abbia chiesto ai sapienti, e in particolare ai sapienti di religione, di non restare in silenzio di fronte ai soprusi. Perché è nella tradizione degli Imam infallibili lottare contro le ingiustizie”.